Riportiamo alcune idee per i vostri Viaggi in Camper, prese dalle nostre vacanze e da idee dei nostri amici e clienti che hanno noleggiato un camper con noi. Destinazioni in Italia e all’estero da fare in famiglia o con gli amici. I vostri amici camperisti Claudia e Massimo, Quelli dei Camper.

Vacanza in Camper a Chios

Dov’è nato Cristoforo Colombo?

Oltre a Genova, rivendicano l’onore di aver dato i natali allo scopritore delle Americhe vari centri dell’entroterra ligure, l’isola di Maiorca, alcune città del Portogallo e della Spagna.

La teoria più recente vuole invece che il grande navigatore sia nato a Chios, un’isola egea a pochi chilometri dalla costa turca. A proporla, nel 1994, sono stati il giornalista e storico greco Yannis Perikos e la studiosa americana Ruth Durlacher-Wolper, fondatrice e direttrice del New World Museum di San Salvador, alle Bahamas.

In un libro che porta la firma di entrambi – facilmente reperibile a Chios – i due ricercatori citano alcuni documenti del Quattrocento, notano che Cristoforo è un nome di origine greca e che, secondo i contemporanei, il navigatore parlava la lingua di Omero, è certo poi che dell’equipaggio delle tre caravelle, pur se in maggioranza spagnolo, facessero parte anche marinai dell’Egeo.
Altri intriganti elementi, ma non gli unici, sono il fatto che il navigatore conoscesse la produzione del mastice, esclusiva di Chios, e calcolasse le distanze percorse con una “misura segreta” di origine greca utilizzata, all’epoca, solo nell’Egeo.
Non è facile, per il profano, approvare o scartare una posizione come questa.
A meno che non tornino alla luce altri documenti inediti, la verità sulla nascita di Colombo resterà molto probabilmente un segreto. Altri elementi, però, sottolineano il secolare rapporto tra Chios e Genova, che dominò sull’isola per due secoli e mezzo, dal 1307 all’occupazione turca del 1556.

I villaggi di Pyrgi, Olìmbi, Vessa e Mestà, nella parte meridionale di Chios, devono la loro importanza al mastice, da cui il nome collettivo di Mastihohòria, e sono le basi per raggiungere alcune delle spiagge più pittoresche dell’isola.
Oggi le decorazioni in bianco e nero (splendide quelle di Pyrgi), le chiese ortodosse e le taverne con i loro tavoli all’aperto danno a questi centri un evidente carattere greco. Per chi arriva dall’Italia, il rapporto con la Liguria resta tuttavia palese: addentrandosi nelle loro stradette, si ha l’impressione di entrare nei borghi medioevali tipici del Ponente.

Come a Dolceacqua e nella vecchia Sanremo, alcuni vicoli consentono a malapena il passaggio di un uomo, le case si appoggiano le une alle altre con degli archi, e di stampo ligure sono anche le abitazioni ai margini dell’abitato, che fungono da fortificazioni e da torri. Il governatore veniva nominato direttamente dalla Superba, mentre i Giustiniani – una delle grandi famiglie di mercanti genovesi – controllavano e gestivano il commercio del mastice, che rimase la principale risorsa dell’isola anche sotto l’impero della Mezzaluna.
La tranquillità di Chios ebbe fine nel marzo del 1822, durante la guerra per l’indipendenza della Grecia, quando gli isolani appoggiarono i ribelli arrivati da Samos e guidati da Lykoùrgos Logothetis, attaccando insieme a loro la guarnigione turca. Venti giorni più tardi un corpo di spedizione ottomano riprese il controllo dell’isola e la mise a ferro e fuoco, uccidendo oltre 25.000 abitanti e vendendo gli altri come schiavi.

L’indignazione per lo scempio raggiunse l’Europa e mosse anche il mondo della cultura: una poesia di Victor Hugo, L’enfant de Chios, e un quadro di Eugène Delacroix, Le massacre de Chios (oggi al Louvre), aiutarono la causa dell’indipendenza greca sensibilizzando l’opinione pubblica.

Nel Nea Monì, il più importante monastero dell’isola, alcune teche raccolgono i crani dei monaci massacrati nel 1822, e i visitatori greci si fermano in silenziosa preghiera.
Ma non c’è più nulla di brutale negli odierni rapporti di Chios con la vicinissima Turchia. Dalle spiagge della costa orientale – Vrontàdos, Agia Ermioni, la frequentatissima Karfas – la costa dell’Asia Minore sembra a portata di mano (lo scopriamo persino guardando il telefono cellulare che, spostandosi sull’isola, passa in pochi minuti dalla greca Telestet alla Türkcell) e ogni giorno decine di battelli portano i turisti in visita a Chios verso la località balneare turca di Cesme. Da qualche anno, poi, ricercatori di entrambi i paesi lavorano fianco a fianco per tutelare la foca monaca, oggi in lenta ripresa nelle isole greche dell’Egeo orientale come pure nei pressi di Foça, all’imbocco del golfo di Smirne.

Mare, montagna e storia Se amate le spiagge di sabbia, Chios vi offre prima di tutto la comoda e attrezzata Karfas, pochi chilometri a sud del capoluogo; sulla costa occidentale si trova quella di Lithi e, proseguendo verso sud, quella di Komi, con lo splendido arenile non lontano dal porticciolo di Embòrios. Se preferite invece i ciottoli non potrete mancare Màvra Vòlia, con le sue due spiagge di sassi neri che si raggiungono a piedi dallo stesso Embòrios, e la spettacolare Vroulìdia, dove si arriva in auto (attenzione ad alcune curve molto strette) attraversando alcune piantagioni di mastice e toccando i ruderi della fortezza bizantina di Dotia; pini protesi sulle acque azzurrine, alte scogliere bianche e una sorgente a pochi metri dal mare completano il fascino del luogo.
Altre mete turisticamente molto apprezzate sono Managros, anche qui con spiaggia di ciottoli, sorvegliata dal borgo medioevale di Volissos, e quelle di Trahiliou e di Kastello sulla costa a settentrione di Lithi. Noi, dopo due settimane passate a Chios, vogliamo consigliare la solitaria Giòsonas sulla costa nord-orientale e l’altrettanto tranquilla Agia Irini, all’estremità opposta dell’isola, dove la chiesetta dedicata a Santa Irene e un unico e delizioso ristorante si affiancano a una perfetta mezzaluna di sassi, che lasciano il posto alla sabbia man mano che ci si allontana dalla strada.

Come le sue vicine, Chios è anche un’isola di montagne, che diventano imponenti in vista della costa settentrionale.
Dal minuscolo borgo agricolo di Spartoùda (una ventina di case e nemmeno un’osteria, cosa più che rara in Grecia) una strada sterrata e poi un ripido ma facile sentiero portano ai 1.297 metri del Pelineo, la vetta più elevata dell’isola, circondata da bizzarri spuntoni rocciosi dove compaiono non di rado le kri kri, agili capre selvatiche dell’Egeo.

Passeggiate più comode, tra magnifici boschi di pini, sono possibili intorno a monastero di Nea Monì, che offre uno straordinario panorama sul capoluogo e sulla non lontana costa turca; un altro percorso si snoda tra Avgonima e Anàvatos, lo splendido borgo medioevale arroccato su un crinale che si affaccia su uno dei canyon più spettacolari dell’isola.
Chi s’interessa alla natura non perda le grotte di Olìmbi, ricche di stalattiti e stalagmiti, scoperte negli anni Novanta e attrezzate in maniera da non deturpare le concrezioni. In tema di architettura e di storia locale meritano una visita il nuovo museo archeologico di Chios, con le sue raccolte dedicate all?antichità dell?isola, e il delizioso museo nautico ospitato in una palazzina ottocentesca che servì da residenza e da ufficio a una ricca famiglia di armatori.

A poca distanza dalla strada che collega il capoluogo a Pyrgi, altre due tappe sono le chiesette bizantine della Panagìa Sikelia e, poco più a nord, della Panagìa Krina.

A Kallimasia, sulla costa sud-orientale, un bellissimo museo della civiltà contadina racconta la fatica quotidiana degli agricoltori del passato. Ma il vero viaggio nel passato è offerto dalla Daskalòpetra, un antichissimo altare scolpito in un blocco di calcare che si affaccia sulla spiaggia e gli impianti sportivi di Vrontàdos: qui, per secoli, i marinai in partenza da Chios o che vi erano appena tornati offrivano sacrifici agli dei. A rendere famosa questa roccia è stato però un uomo che 3.000 anni fa la utilizzava per sedersi e narrare ai passanti storie che hanno fatto il giro del mondo. Il suo nome era Omero.

Vacanza in Camper in Bretagna

Lungo la costa rosa oggi tutto sembra tornato a posto sulla costa di Trégastel dopo il disastro dell’Amoco Cadiz, la petroliera che nel 1978 affondò perdendo il suo carico al largo delle coste bretoni e provocò un danno incalcolabile, i cui effetti si sono protratti per decenni.
Ma in tempi recenti l’aggressione all’ambiente è giunta da un’altra parte: se prima infatti c’era un solo albergo, come risulta nelle vecchie guide, ora l’intera riva è coperta di cemento.

Altri alberghi, bar e pizzerie, una grande terrazza sul mare, una cupola che nasconde chissà cosa, cabine dello stabilimento balneare a saldare il tutto, uno scempio che si mostra in tutta la sua enormità dalla passeggiata fra gli scogli il cui accesso – bontà loro – è rimasto libero.

Se prima la caletta rosa circondata da massi tondeggianti dello stesso colore aveva un suo fascino, ora è diventata una spiaggia qualsiasi.
Ci si consola qualche chilometro più in là a Ploumanach: il borgo è rimasto pressoché integro (ci sono ancora al suo interno delle stradine sterrate) e la natura è rispettata.

Si va a parcheggiare il camper di fronte al porto, anche ignorando i divieti (di giorno, in bassa stagione, ci siamo trovati in quattro equipaggi e nessun vigile ha avuto a che dire), oppure ci si sposta in fondo a destra dove è segnalata una via chiusa; c’è uno slargo, e il divieto relativo a un lato della piazzetta (riservato ai pescatori) ne rende di fatto fruibile il resto. Da qui, segnalato su una tabella, parte un sentiero che s’infila nel bosco, scende alla spiaggia, risale, procede ancora in discesa e poi in salita fra sempre nuove visioni della sterminata distesa di sassi rosati che, specie in condizioni di bassa marea, caratterizzano la baia vigilata sull’altra sponda da un singolare castello.
Lo stradello è ben curato e alcune scalette permettono di superare i dislivelli, in una variante verso il mare ci s’infila in una galleria scavata nella roccia.

Si prosegue incontrando l’Oratorio di Saint Guirec, piantato ai limiti della spiaggia a ricordare lo sbarco del monaco gallese che nel VI secolo evangelizzò la regione, e si continua verso il Min Ruiz, un faro di pietra rosa come tutto ciò che lo circonda.
Di fronte, a fianco della Maison du Littoral (esposizione permanente di geologia, flora e fauna della zona), si conclude la passeggiata, anche se lo stradello continua per chilometri lungo la costa.
Non resta che scegliere se chiudere l’anello verso il paese, imboccando Rue du Phare e poi perdendosi per stradine (ma basta puntare decisamente a sud e ci si ritrova al porto), o rifare all’indietro la passeggiata che fino a questo punto ha richiesto non meno di 45 minuti.
Le pietre del mistero se gli artisti dei calvari sapevano bene cosa comunicare ai fedeli con le loro sculture, cos’aveva in testa lo sconosciuto popolo che tra il 5000 e il 2000 a.C. si affannò a erigere e mettere in fila pietroni alti oltre 7 metri e pesanti più di 300 tonnellate, o a costruire ripari con grandi lastre in bilico su altre pietre è questo forse il vero mistero, al di là della funzione degli allineamenti (religiosa, astronomica?).

Megaliti e dolmen ne abbiamo visti in gran quantità nel nostro viaggio in Camper nel sud della Bretagna

la guida ne segnala sparsi un po’ ovunque, ma laddove manchi una segnaletica precisa si rischia di perdere mezz’ora per rintracciare una singola pietra.
Per chi non ha moltissimo tempo a disposizione è consigliabile concentrarsi sui due siti archeologici principali: Carnac e Locmariaquer.
Tra l’altro sui siti minori – come Ménec e il limitrofo Kermario, ora recintati – dove un tempo era bello vagare in libertà meditando sul mistero, incombe la minaccia di un faraonico progetto di valorizzazione statale a base di strade, cemento, parcheggi a pagamento.
A Carnac gli allineamenti si perdono a vista d’occhio, mentre a Locmariaquer si ritrova dentro un recinto il compendio di tutto il resto: un tumulo, un gigantesco dolmen detto Table des Marchands che riporta tracce di sculture e infine quello che, con i suoi 20 metri e passa, sarebbe stato il menhir più alto in assoluto se non fosse che – mistero nel mistero – un qualche evento naturale o dovuto all’uomo, in epoca remota, lo ha ridotto a terra in quattro pezzi (non compare sulle istruzioni nautiche del 1483 note come Grand Routier ove altri megaliti sono usati come punti di riferimento).

Sul posto, visite guidate o comunque materiale cartaceo e filmati in abbondanza per saperne di più.

Quanto annunciato per i siti archeologici è ormai realtà a Pointe du Raz.
Qui hanno di fatto sbarrato l’unica strada d’accesso, fra l’altro troppo stretta per parcheggiare.
Per andare a vedere i famosi roccioni sul mare bisogna lasciare la macchina o il camper in un posteggio a pagamento ma, dicono le informazioni turistiche, con navetta gratuita.
Nella trappola siamo caduti anche noi.
Visto che all’ingresso non c’era nessuno, ingenuamente abbiamo pensato: oggi c’è nebbia, non fanno pagare perché non si vede niente.
Dal parcheggio (5 euro per il camper, 10 euro per auto più caravan) si deve attraversare il brutto complesso edilizio del centro visite con bar, ristoranti e botteghe, dopodiché si prende il bus o si va a piedi per un comodo sentiero alternativo (ma perché c’è scritto che richiede 10 minuti quando noi, che abbiamo il passo veloce, abbiamo impiegato non meno di un quarto d’ora? Ovvio, per ridurre le corse dell’autobus).
Al ritorno, alcuni segnali con la perentoria scritta Sortie guidano lungo un percorso tortuoso fino a una seconda guardiola, invisibile dall’ingresso, dove si paga uscendo

Ma per fortuna sulle coste frastagliate della Bretagna non c’è solo la Pointe du Raz.

E così ci vendichiamo subito dopo andando a cercare la punta di Saint Mathieu che, se non è il punto più a ovest di tutta la Francia, poco ci manca e poco ci importa.

Per cominciare, il parcheggio sotto il faro (dotato di comodi servizi) è chiuso da una sbarra, ma tutti entrano dall’uscita ignorando il senso vietato; dovessero esserci problemi, sono pronti altri due parcheggi, segnalati a poche centinaia di metri.
Non si paga per la bellissima abbazia senza copertura, che pare San Galgano, e dalla quale parte uno stradello che, alto sulla scogliera, bordeggia il mare; una rozza croce in pietra ne segna l’inizio e, sotto, il significativo cartello Finistère pour Compostela km 0. Con l’emozione di trovarci su un capolinea del Cammino di Santiago, ci incamminiamo fino a raggiungere il forte nero sul suo scoglio nero, collegato alla terraferma da un ponte; lungo la strada, alcuni bunker incassati nella roccia ricordano tempi meno sereni.
A sera ci si ritrova soli sul sentiero, con le caprette che tornano all’ovile in un tintinnio di campanelli, ma i collegamenti con la viabilità ordinaria (ognuno col suo parcheggio) permettono di farsi venire a prendere da chi è rimasto nel camper.
Più tardi, sotto il faro, ci si ritroverà con gli altri appassionati di foto schierati sul muretto, ognuno a immortalare la rossa sfera del sole che scende in acqua esattamente dietro l’albero di un peschereccio completo di cordami, issato sulla rupe a commemorare i caduti del mare.

E poi c’è la punta di Cap Fréhel, più bella di quanto la ricordassimo grazie anche alla libertà di movimento dato che, a fianco della strada che porta al parcheggio a pagamento, c’è modo di lasciare il mezzo.
Si prosegue per sentieri ben tracciati sulla pietra o su pedane di legno, serviti da precise tabelle agli incroci, che portano alla punta con il faro e a quelle limitrofe: centinaia, forse migliaia gli uccelli marini che qui nidificano, svolazzano fra grandi strida sulle rupi.
Proprio lì di fronte, un ristorante-bottega di souvenir non disturba più di tanto.

E infine ammiriamo l’oceano a Pointe du Grouin, estrema propaggine a nord-est della Bretagna, caratterizzata da un lungo scoglio parallelo che l’accompagna frastagliato in mare. Anche qui c’è un parcheggio (persino alberato) prima che cominci il percorso pedonale: di notte sarebbe vietato ai veicoli ricreazionali, ma c’è chi rimane ugualmente.
Ad ogni modo, poche centinaia di metri più in là, c’è un altro spiazzo ben visibile a lato della strada.

Ci troviamo nel territorio di Cancale, famosa per gli allevamenti di ostriche, ai confini con la Normandia.
E già appare magica oltre le brume, in fondo alla baia, l’Abbazia di Mont-Saint-Michel.

Vacanza in Camper in Valle d’Aosta

Siamo stati in Vacanza in Camper in Valle d’Aosta, esattamente a Chamois. Li non ci sono semafori da rispettare per le strade, ne incroci o rotonde dove dare la precedenza, ne parcheggi da cercare. A pensarci bene, non ci sono neppure vigili urbani, almeno di quelli che conosciamo noi, tutti intenti a fare multe ai trasgressori del codice della strada.

Un paese così avreste giurato non esistere, e avreste perso la scommessa perché Chamois , per tutto il resto, è un vero centro alpino in Valle d’Aosta, regolarmente abitato e posto in una splendida posizione panoramica a 1815 metri di altezza.
L’arcano è semplice da spiegare, anche se francamente del tutto inusuale: a Chamois non si può arrivare in auto e, tanto meno in camper, semplicemente perché non esistono le strade di collegamento.

Qui questo ruolo strategico per la stessa sopravvivenza del paese e per quella dei suoi abitanti è ottimamente interpretato da una funivia, unico mezzo che garantisce il collegamento tra questo eremo del XXI secolo e il mondo normale, quello civilizzato, che continua a pulsare nel fondo valle.

Visto da quassù, dalla stazione di arrivo della teleferica, tutto appare assumere una luce e caratteristiche assai diverse: e pare impossibile, da questi irreali scenari silenziosi, pensare alla vita convulsa che la civiltà contemporanea ci sa offrire.
Giunti a Buisson una frazione di Antey, possiamo parcheggiare il nostro veicolo nell’area prospiciente la stazione di partenza della funivia: da qui in estate potremmo decidere di tentare una lunga escursione in salita attraverso un impegnativo sentiero.

È proprio per la scelta effettuata a metà degli anni ’60 di preferire la funivia alla costruzione di una carrozzabile che Champis deve la propria notorietà attuale, certo qui non mancano le bellezze naturale, le lunghe passeggiare che si possono compiere nella bella stagione, o le lunghe sciate in inverno, ma è indubbio che l’isolamento abbia finito per collocare questo piccolo universo fuori dal mondo.

Alla stazione di partenza di Buisson la funivia parte ogni mezzora: in pochi minuti, compiendo un autentico balzo in verticale, approdiamo in un mondo fatato, dove saremo immediatamente sommersi da un fragoroso silenzio.

Infatti gli unici suoni che qui potremo ascoltare sono quelli tipici della natura : il ticchettio ritmato delle gocce di pioggia, quello soft dei passo sulla neve, l’ululare delle folate di vento che s’infilano tra le case e gli alberi, il cinguettio degli uccelli o lo scrosciare dell’acqua.
Qui, al di fuori della stagione turistica invernale e di quella estiva, la tranquillità è assoluta: i pochi abitanti qui residenti saranno sempre felici di spiegare, a noi cittadini, perché questo per loro è autentico paradiso.

Sedersi su una panchina appena fuori dalla stazione di arrivo, con la piccola chiesa sulla destra e con davanti a noi lo spettacolo della catena di montagne, regolare il trascorrere del tempo sulle veloci corse della cabina della funivia, lasciare che ogni pensiero possa risalire alla coscienza guardando l’ampio panorama circostante, sono tutte sensazioni che abbiamo provato e che ne siamo certi proverete anche voi.

In estate a Chamois,

quando il bel manto erboso appare ancora più intenso e più soffice, gli escursionisti avranno a disposizione ogni tipo di itinerario: in questa stagione sara’ piacevole arrivare, in circa trenta minuti di comoda passeggiata, fino al laghetto alpino di Lod, mentre nella stagione invernale non si può perdere il bel percorso che, su piste di fondo, collega Chamois a La Magdeleine.
E nel silenzio più assoluto e nella purezza di un’aria che non conosce inquinamento, sara’ ancora più bello passeggiare, anche attraverso le varie frazioni che fanno da corona al nucleo più importante e dove le vecchie case contadine in legno (i tipici rascard) sono naturalmente invecchiati dal sole e dal trascorrere inesorabile del tempo. E paiono quasi voler confermare, con la loro stessa esistenza., quella presenza umana che l’occhio e le orecchie fanno fatica ad individuare.

Il senso completo di essere fuori dal mondo lo si percepisce quando si osservano i materiali che devono essere trasportati con la teleferica che corre vicina, e parallela, alla linea della cabinovia: questo perché praticamente tutto arriva da fondo valle, dai generi di consumo ai materiali edili, dal combustibile alle medicine.
Siamo certi che scoprire questo piccolo microcosmo sarà anche per voi una gradita sorpresa, una tra le più singolari che una vacanza in Camper in Valle d’Aosta saprà regalarvi.

INFORMAZIONI UTILI

Per arrivare: la stazione di partenza della funivia si trova ai 1100 metri Buisson, una frazione di Antey , nel parcheggio retrostante potrete lasciare il vostro camper e all’occorrenza potrete utilizzarlo anche per una eventuale sosta notturna.

Se amate la montagna e gli ampi spazi verdi, allora la Val d’Aosta deve rientrare tra le vostre mete, soprattutto oggi, dopo che la regione si è; perfettamente attrezzata per la ricezione dei camperisti, creando una serie di strutture sul territorio in grado di soddisfare ogni esigenza anche quelle del turista itinerante che volesse preferire la sosta libera.
Gli itinerari più belli e interessanti sono illustrati nella guida di vivicamper.